Tacite ed austere figure del Cristo, della Madonna e dei santi, affrescati dentro nicchie o all’interno di grandi altari, quasi fossero spiragli del mondo celeste. E’ quanto si può ammirare se con una buona guida o armati di una pianta del territorio e tanta volontà, ci si addentra nell’entroterra monopolitano.
E’ il frutto di quello che gli studiosi hanno definito «habitat rupestre», originale patrimonio tutto meridionale, caratterizzato dal vivere in grotta.
Fu in quegli antri adattati a dimensione umana che gli abitanti pugliesi cominciarono a rifugiarsi in seguito alla caduta dell’Impero Romano, per sfuggire alle invasioni barbariche e per continuare a produrre olio e dedicarsi all’agricoltura e all’allevamento, ritagliandosi nel contempo spazi di riflessione e preghiera, nei quali i santi affrescati rappresentavano un tramite con Dio. E così è possibile ammirare enormi grotte adattate a frantoio, altre ad abitazioni, altre a stalle, e per finire le grotte-chiesa, veri e propri gioielli della nostra terra.
Questi villaggi, collocati all’interno delle depressioni naturali denominate lame, si presentano al visitatore come un susseguirsi di grotte.
A Monopoli sono state censite ben 24 chiese rupestri (22 delle quali affrescate). Una delle due non affrescate (in Lama Marzone è interessante poiché mantiene intatta la struttura architettonica, con l’entrata a triforium). Un patrimonio che, partendo dal nucleo urbano (Madonna del Soccorso, San Matteo all’Arena, San Leonardo, Santa Maria Amalfitana, Villa De Martino Giannulo), si allarga alla periferia (chiesa dello Spirito Santo) e all’agro (SS. Andrea e Procopio, Lamalunga, Cristo Campanariello, San Giovanni di Staveta, Masseria Santa Cecilia, per citarne alcuni).