I nazisti bombardano Bari: trovate foto d’epoca inedite che ricostruiscono la Storia

Il bombardamento di Bari fu un’azione d’attacco aereo effettuato dalla Luftwaffe nei confronti del naviglio alleato attraccato nel porto di Bari, città occupata dalle forze britanniche l’11 settembre 1943 in seguito alle operazioni di invasione dell’Italia continentale, durante la campagna d’Italia della seconda guerra mondiale. La sera del 2 dicembre 1943, 105 bombardieri Junkers Ju 88 appartenenti alla Luftflotte 2 tedesca bombardarono le navi da trasporto ancorate alla fonda del porto; l’attacco causò grosse perdite per gli alleati, che non subivano un’incursione aerea a sorpresa di tale efficacia a un proprio porto dall’attacco giapponese di Pearl Harbor.

Lo scopo dell’attacco aereo era quello di rendere inagibile il porto, nel quale affluiva la maggior parte dei rifornimenti per le truppe dell’8ª Armata britannica e per le basi aeree alleate nell’aerea di Foggia. Otto navi cargo furono gravemente danneggiate mentre quelle affondate furono 17, i cui relitti bloccarono il porto per tre settimane. Gli anglo-americani, messi in difficoltà nell’approvvigionare le proprie truppe, dovettero quindi rallentare sia l’offensiva sia la costruzione degli impianti aeroportuali di Foggia. Durante l’attacco venne colpita la nave statunitense SS John Harvey, che trasportava un’importante carico di bombe all’iprite, dalla quale fuoriuscirono per alcuni giorni una grande quantità di sostanze tossiche che contaminarono le acque del porto, i militari e i civili nella zona.

Grazie a “WW2Radio“, (una Pagina Facebook belga che da tempo raccoglie moltissime immagini sulla 2° Guerra Mondiale), sono state individuate una serie di fotografie praticamente inedite alla Storia ufficiale che mostrano evidenti immagini del bombardamento di Bari. Le immagini furono scattate dal reporter George Rodger:

un altro scatto:

il bombardamento sulle navi alleate:

un’altra esplosione:

Il porto rimase inoperativo per tre settimane e tornò in piena efficienza solo a febbraio 1944 in quella mezz’ora di bombardamento erano state distrutte circa 38 mila tonnellate di materiale, inclusa una grande quantità di attrezzature mediche, e oltre 10 mila tonnellate di lastre d’acciaio destinate alla costruzione degli aeroporti. Il cacciatorpediniere di scorta HMS Bicester danneggiato dal bombardamento e fu rimorchiato in direzione del porto di Taranto il giorno dopo, ma durante il tragitto parte del personale accusò disturbi agli occhi, come ad esempio dolori e bruciori; nonostante tutto ciò la nave riuscì faticosamente ad arrivare alla sua destinazione.

I medici non ci misero molto tempo a rendersi conto che la “dermatite”, i cui sintomi andavano dalla pelle bronzea alle pustole enormi, fosse dovuta all’esposizione all’iprite. Più di mille soldati alleati morirono o risultarono dispersi, mentre gli ospedali militari confermarono 617 casi di contaminazione, 83 dei quali mortali, anche se l’inchiesta successiva parlò di «molti altri per i quali non esistono testimonianze». Anche tra i civili ci furono all’incirca un migliaio di vittime, ma nessun resoconto ha mai chiarito il numero delle persone tra la popolazione che perirono a causa della contaminazione chimica. Per motivi di sicurezza in un memorandum del quartier generale alleato dell’8 dicembre, tutti questi casi vennero diagnosticati come «dermatite non identificata», e i generali alleati tennero la massima riservatezza sia con la stampa sia con i sottoposti. Successivamente Eisenhower ordinò la creazione di una commissione segreta d’inchiesta, che nel marzo 1944 concluse che i casi di “dermatite” furono causati dalla fuoriuscita di iprite dalla stiva della John Harvey. Winston Churchill, tuttavia, ordinò che tutti i documenti britannici venissero classificati e segretati, elencando le morti per iprite come “ustioni a causa di un’azione nemica”, mentre lo stesso Eisenhower, seppur confermando nel suo libro di memorie la presenza di iprite, si mantenne vago, sostenendo che il vento che spirava verso il largo spinse il gas lontano dal porto, senza causare vittime.

I documenti al riguardo dell’attacco furono declassificati dal governo statunitense solamente nel 1959, ma l’episodio rimase all’oscuro fino al 1967, anno in cui l’Istituto navale statunitense pubblicò sulla rivista «Proceedings» un saggio sull’argomento, cui seguì nel 1971 un libro di Glenn Infield, Disaster at Bari. Nel 1986 il governo britannico finalmente ammise che i sopravvissuti del bombardamento di Bari erano stati esposti a gas tossici e modificarono di conseguenza i pagamenti delle loro pensioni[19].

Nel suo lavoro autobiografico Destroyer Captain pubblicato nel 1975 da William Kimber & Co, il Lieutenant Commander (equivalente a capitano di corvetta) Roger Hill descrive il rifornimento della HMS Grenville a Bari poco dopo l’attacco. Egli descrive il danno subito e dettagli di come un carico di iprite sia stato portato in porto a causa di rapporti di intelligence che ha descritto come “incredibili”.

Il dott. Stewart F. Alexander, uno dei medici che a metà dicembre furono inviati a Bari nel contesto dell’inchiesta segreta voluta da Eisenhower, conservò molti campioni di tessuto dalle vittime sottoposte ad autopsia e dopo la seconda guerra mondiale questi campioni divennero molto utili nello sviluppo di una prima forma di chemioterapia a base di iprite, la mecloretamina. A conseguenza di questo incidente, fu creato dagli alleati un programma di ricerca segreto sugli effetti dei gas sull’uomo. A studiare l’effetto dell’azotiprite furono chiamati due scienziati dell’università di Yale, Louis Goodman e Alfred Gilman. Studiando gli effetti mielotossici selettivi che si erano riscontrati su sopravvissuti agli effetti vescicanti dell’iprite a Bari, (effetti per altro già individuati nel 1919 da Edward ed Helen Krumbhaar, una coppia di patologi americani, su pochi reduci intossicati dal gas dopo il suo massiccio impiego bellico nella prima guerra mondiale e che, pubblicati su una rivista medica secondaria, passarono inosservati agli oncologi del tempo), diedero il via ad una sperimentazione controllata dapprima su modelli animali e poi su alcuni malati di neoplasie di origine linfatica. Riscontrarono remissioni significative, anche se di breve durata, ma i risultati non poterono essere pubblicati se non dopo la fine della guerra, per il vincolo di segretezza che copriva il programma militare. Fu comunque il primo tentativo di terapia antitumorale attraverso un approccio farmacologico a poter vantare un certo grado di successo, e viene per questo considerato l’atto di nascita della moderna chemioterapia.

Nel 1988, grazie agli sforzi di Nick T. Spark e dei senatori Dennis DeConcini e Bill Bradley, Alexander ha ricevuto il riconoscimento Surgeon General of the United States Army per le sue azioni all’indomani del disastro barese.