Rivoluzione a Bari: un labrador per terapia ai bambini malati – video

Durante il ricovero i piccoli pazienti oncoematologici possono contare anche sulla presenza affettuosa dei loro amici a quattro zampe. E’ il progetto “Pet Care” al Policlinico di Bari. Lo riporta anche un servizio del Tgr Puglia che linkiamo qui sotto. Si tratta di un nuovo esempio di Pet Terapy, innovativo per quanto riguarda il barese.  L’idea è avvenuta ad un addestratore cinofilo papà di un bambino malato di leucemia. L’incontro con il cane è stato illuminante. Con il termine pet therapy si indica letteralmente la terapia dell’animale da affezione, dall’unione dei due termini: pet che significa animale da affezione e therapy che significa terapia o cura. Per pet therapy, o anche zooterapia, si intende una co-terapia che si affianca a tradizionali cure, trattamenti ed interventi socio-sanitari già in corso.

Essa non rappresenta una terapia a sé, ma si identifica come un intervento sussidiario che aiuta, rinforza, arricchisce e coadiuva le tradizionali terapie e può essere impiegata su pazienti di qualsiasi età ed affetti da diverse patologie con l’obiettivo di miglioramento della qualità di vita dell’individuo e del proprio stato di salute rivalutando, nel contempo, il rapporto uomo-animale. Ulteriore scopo di queste co-terapie è quello di integrarsi con le normali attività terapeutiche facilitando l’approccio delle varie figure medico-sanitarie e riabilitative soprattutto nel caso in cui il paziente non dimostri collaborazione spontanea. La presenza di un animale permette in molti casi di consolidare il rapporto emotivo con il paziente favorendo il canale di comunicazione paziente-animale-medico e stimolando una partecipazione attiva del soggetto stesso. La pet therapy viene intesa come un intervento dolce che stabilisce armonia tra uomo e natura apportando grandi benefici all’uomo. Il termine Pet Therapy, comunemente usato, è stato superato e oggi si parla di un complessivo progetto di Interventi Assistiti con gli Animali (IAA).

Questa teoria nasce da un evento casuale e fortuito. Nel 1953, il neuropsichiatra infantile Boris Levinson, aveva in cura un bambino autistico che era stato sottoposto a molte cure senza però trovare alcune risposte o progressi alla sua malattia. Un giorno, i genitori del bambino accompagnarono il figlio alla seduta con un leggero anticipo rispetto all’orario prefissato. In quel momento, Levinson, era talmente impegnato in un altro lavoro che fece accomodare la famiglia nel suo studio dimenticandosi di fare uscire il suo cane Jingles. Non appena il cane vide quel bambino, la bestiola, si diresse verso di lui e cominciò a leccarlo. Il piccolo non mostrò alcun tipo di timore o paura, ma anzi, ne fu talmente conquistato che cominciò ad accarezzarlo dolcemente. Alla fine di quell’incontro il bambino manifestò uno dei suoi pochi desideri espressi fino a quel momento della sua vita: tornare nello studio dello psichiatra per poter giocare di nuovo con il cane. Come spiega bene Levinson, e come scrive anche nell’articolo The dog as co-therapist (dove tra l’altro utilizzò per la prima volta l’espressione pet therapy), il bambino, nel tempo, continuò a giocare con Jingles e questo permise allo psichiatra di inserirsi nel gioco, creando così un rapporto col suo piccolo paziente. La presenza di un animale permetteva al bambino di esprimere le proprie difficoltà in modo indiretto senza essere intimorito dal rapporto diretto con Levinson. Dopo questo evento lo psichiatra sviluppò la teoria della pet oriented child psychotherapy, basata sull’idea che il bambino si identificasse frequentemente con l’animale, il quale diventa un sostegno grazie al quale il paziente riesce a parlare più tranquillamente della sua vita e delle sue inquietudini. Levinson constatò che prendersi cura di un animale può calmare l’ansia, può trasmettere calore affettivo e aiutare a superare lo stress e la depressione.

Inoltre, è stato studiato e confermato da numerose ricerche scientificamente fondate, pubblicate da riviste mediche tra le più accreditate («JAMA», «British Journal of the Royal Society of Medicine», «American Journal of Cardiology», «Journal of Nervousch&Mental») che il rapporto con gli animali può portare a: un aumento del tasso di sopravvivenza nei pazienti ricoverati con disturbi cardiaci; abbassamento della pressione sanguigna e della frequenza delle pulsazioni; calo dei valori del colesterolo nei pazienti di sesso maschile; riduzione nella percezione di problemi di salute minori e miglioramento della qualità della vita; decrescita delle spese per i farmaci; riduzione delle sensazioni di solitudine, depressione e paura; aumento dell’autostima, in particolar modo nei bambini; miglioramento dell’integrazione sociale dei bambini a scuola, degli anziani e delle persone con problemi fisici. A distanza di decenni, a Bari la Storia si ripete, anche se in forma diversa: