I cinghiali pugliesi potrebbero essere radioattivi ma al momento nessuno è sicuro confermalo o smentirlo. Lo riporta un articolo apparso su ondaradio.info che menziona le attività di controllo antitrichinellosi eseguite “soltanto su metà delle carni di cinghiale consumate in Italia (studio dell’Istituto Zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d’Osta del marzo 2017), ma per la radioattività, nella maggior parte delle regioni italiane, i controlli non ci sono affatto“.
Come riportava anche Repubblica.it, infatti, si tratta di un’attività iniziata nel marzo del 2013, quando in alcuni di questi ungulati selvatici vennero riscontrati tassi di radioattività abnormi, diretta conseguenza dell’incidente nucleare avvenuto in Ucraina, allora Unione Sovietica, del 26 aprile 1986 che aveva provocato una nube radioattiva estesasi, con piogge, su tutta Europa. Nel 2013 gli animali trovati contaminati erano stati 27. Da allora l’Istituto ha continuato a monitorare la situazione e analizzato 1.441 campioni: il numero di “cinghiali radioattivi” è salito a 166. Provengono tutti dalla provincia del Verbano-Cusio-Ossola, nel nord del Piemonte, e in particolare dalla Valsesia.
Stando a quanto riferito dalla testata web, la problematica legata all’eventuale radioattività di alcuni esemplari di ungulati sarebbe dunque una conseguenza legata agli effetti inquietanti del disastro nucleare di Chernobyl. La problematica sarebbe infatti già stata confermata durante le analisi effettuate nel corso del 2013 sulle carni di numerosi capi contaminati in Piemonte (nello specifico in Valsesia e sul Ticino). Per queste ragioni nelle regioni dell’Arco Alpino è da tempo in corso un’attività di costante monitoraggio della radioattività del ministero della Salute, per tutto il resto del Paese vale la Raccomandazione della Commissione n.274 Ce del 14 aprile 2003 di controllare appunto «selvaggina, bacche selvatiche, funghi selvatici e pesci carnivori» per eventuali contaminazioni da cesio, l’isotopo radioattivo diffusosi dopo il disastro nucleare. A far emergere eventuali sospetti, l’aggiunta che, proprio gli esemplari pugliesi, sono molto probabilmente discendenti di alcuni esemplari introdotti abusivamente una decina di anni fa sulla Murgia pugliese forse da alcuni cacciatori irresponsabili con l’evidente scopo di costringere le istituzioni locali ad aprire la caccia al cinghiale. Si è sempre detto che la specie introdotta in Puglia è originaria del nord Europa. Caccia al cinghiale che ha visto una parziale autorizzazione soltanto negli ultimi mesi, alternata nel barese alla cattura di esemplari vivi per il trasporto di aree naturali idonee e lontane dal centro abitato. Nel quartiere San Paolo di Bari come in molte altre zone confinanti del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, è da tempo segnalata la sovrappopolazione di una specie alloctona e considerata invasiva.
Per quanto riguarda risultati sulle carni di questi animali, non è chiaro quali possano essere i dati sull’eventuale radioattività. Questo perché, stando a quanto riportato dall’articolo diffuso per via telematica dall’emittente radiofonica, in regioni come la Puglia e la Basilicata le attività monitoraggio mancherebbero. A confermarlo sarebbe il responsabile del Centro di referenza nazionale per la radioattività dell’Istituto Zooprofilattico di Puglia e Basilicata. “Le carni dei cinghiali che vagano sempre più numerosi nel territorio pugliese e lucano (molti importati per il ripopolamento a scopo venatorio proprio dall’Europa dell’Est) sono sottoposte ai controlli contro la trichinella, ma non per la radioattività e l’Izs, pur avendo competenza e strumentazioni necessarie, non può fare questi controlli spontaneamente. L’ultima e unica verifica anti-radioattività sui suini consumati nelle due regioni, ricorda Chiaravalle, è avvenuta anni fa sulle carni di quattro cinghiali abbattuti in Basilicata, risultate esenti da 4 contaminazioni di cesio” – si legge nell’articolo.