Scoperta archeologica a Margherita di Savoia: il mare restituisce antiche anfore. La dimostrazione che nel fondale c’è qualcosa di grosso da scoprire. Qui anche il passaggio di templari e Federico II ma un maremoto…

La dimostrazione, l’ennesima, che una Storia antichissima – tutta da ricostruire – nelle acque marine di Margherita di Savoia è confermata da una nuova importante scoperta archeologica:

Stando a quanto si apprende, nel mese di giugno, alcuni pezzi di antiche anfore sono stati rinvenuti dai militari della Guardia Costiera di Margherita di Savoia nel corso di attività di vigilanza e controllo del litorale. Nello specifico, i frammenti dalle varie forme – come anse, colli e pancia – sono state trovate nella zona nord del paese in località Quarto – Orno: “L’intervento del personale dell’ufficio locale marittimo ha consentito di evitare che i reperti fossero trafugati da predatori e che venissero immessi nel mercato illegale”, osservano dalla guardia costiera. Dall’ufficio marittimo ricordano non solo che “in caso di rinvenimenti a mare di reperti archeologici si è invitati a prendere immediatamente contatto con la locale autorità marittima per l’attivazione delle relative procedure di recupero” ma anche che la semplice asportazione per uso personale integra illecito sanzionato penalmente”. I reperti archeologici scoperti saranno consegnati alla sovrintendenza dei beni archeologici di Foggia che si occuperà della catalogazione, studio e ricerca. La scoperta potrebbe indicare facilmente la presenza di qualcos’altro:

forse i resti di un villaggio antico sepolto dalle acque a causa dell’innalzamento del livello del mare? I resti di della merce trasportata da un’antica nave naufragata? Soltanto studi approfonditi da parte degli esperti potranno rivelare nuovi dettagli e forse anche le origini di questi manufatti. Del resto, siamo nel territorio di una città – Margherita di Savoia, in provincia di Barletta-Andria-Trani – cui saline, le più grandi d’Europa, erano già note almeno dai tempi dell’Impero Romano. Dalle informazioni frammentarie giunte ai giorni nostri, sappiamo che con il diffondersi del cristianesimo, la località assunse la denominazione di Sancta Maria de Salinis e così viene citata in un diploma di donazione di Goffredo il Normanno, conte di Canne, nel 1105:

Il casale di Sancta Maria de Salinis, ancora di incerta ubicazione, (sorgeva forse poco più a nord dell’odierno abitato nei pressi della frazione Orno e oggi sarebbe sommerso) faceva parte del territorio e della diocesi di Canne insieme anche al casale di San Cassiano (l’odierna San Ferdinando) e San Nicolao de Petra, l’odierna frazione di Torre Pietra, che forse diede i natali, secondo la Vita pubblicata dall’Ughelli, a Ruggero, vescovo di Barletta. Dalle fonti si apprende che il casale disponeva di una chiesa, cui era anche annessa una masseria e sotto Federico II fu dotato di una torre di avvistamento:

Sempre dall’atto di donazione apprendiamo che il territorio di tale casale aveva come confini a nord la contrada di San Nicolao di Petra e a sud l’Ofanto. Le saline all’epoca venivano chiamate Salinae Cannarum, in quanto il vescovo di Canne ne aveva il possesso e ne riscuoteva il censo. Il casale fu poi ancora una volta ceduto ai templari di Barletta dal vescovo Joannes, che successe a San Ruggiero nell’episcopato di Canne. Con l’estinzione della diocesi di Canne la chiesa di Santa Maria de Salinis fu aggregata a quella di Trani, cui ancora adesso appartiene, come risulta dalla bolla di papa Celestino III, datata 1192. Il dominio dei templari sulla salina terminò con l’emanazione delle Costituzione Melfitane da parte di Federico II, il quale istituì il monopolio del sale. Sotto la casata degli Svevi la località conobbe un periodo di grande fioritura. La città conobbe gli effetti devastanti del terremoto-maremoto del 1223 che colpì anche la vicina Siponto, ma venne prontamente ricostruita da Carlo II d’Angiò nel 1275. Il casale, tuttavia, andò in rovina a causa del progressivo impaludamento del Lago Salpi, che dovette provocare epidemie di malaria, ma un ruolo non indifferente fu giocato anche dal fenomeno erosivo della costa, tuttora in atto. Come se non bastasse, tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV, il casale di Sancta Maria de’ Salinis venne falcidiato da una grave epidemia di malaria e i pochi superstiti si rifugiarono a Barletta: a quanto pare, gli abitanti dell’antica zona paludosa non si integrarono mai però con i barlettani, costretti a vivere al di fuori delle mura della città. Questo fenomeno avrebbe però permesso di preservare l’identità genetica culturale e storica dei salinari. Passarono circa due secoli prima che l’autorità si decidesse a bonificare la zona. A tal proposito, si ricordano le seguenti pubblicazioni:

“Salapia e Salinis” (Lopez, 1971), “L’ambiente salinaro-margheritano dal dialetto alla storia” (Lopez, 1973-75), “Margherita di Savoia e i suoi antichi insediamenti sommersi” (Lopez, 1981), “Torre delle Saline e le torri di Petra, Rivoli, Ofanto nel contesto della difesa costiera del Regno di Napoli” (Lopez, 1986), “La Chiesa Madre del SS. Salvatore di Margherita di Savoia, le chiese e Cappelle Salinarum” (Lopez, 1987), “Vecchie ringhiere Liberty del centro storico di Margherita di Savoia” (Lopez, 1989), “Salinae Cannarum-Sancta Maria de Salinis” (Lopez, 1996). “Geomorfologia e Cultura del Promontorio del Gargano e delle aree circostanti” (Lopez, 2000). “Il culto mariano nell’area nord-ofantina” (Lopez, 2002).

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