In Puglia i prezzi dei carciofi aumentano di oltre 7 volte dal campo alla tavola

I prezzi dei carciofi aumentano oltre 7 volte dal campo alla tavola, una forbice sempre più larga che parte da 0,15 euro a capolino in campagna fino a 1,10 euro a capolino sui banchi di mercati e grande distribuzione, per cui servono controlli serrati anche dei vigili dell’annona per verificare l’origine dei prodotti in vendita. E’ Coldiretti Puglia che torna a denunciare l’invasione di carciofi provenienti da Egitto e Tunisia sul mercato all’ingrosso, una concorrenza sleale che si ripercuote sui prezzi del pregiato violetto di Brindisi crollati a 15 centesimi a capolino che non riescono a coprire gli aumentati costi di produzione, complice anche il rallentamento dei consumi di ortaggi, una situazione inaccettabile in uno scenario di crisi che andrebbe affrontata con maggiore serietà senza speculare sugli anelli più deboli della filiera, gli agricoltori e i consumatori:

Va riposta una particolare attenzione – aggiunge Coldiretti Puglia – alla provenienza dei prodotti acquistati con un deciso orientamento a sostenere gli acquisti di prodotti Made in Puglia per aiutare lavoro ed economia. In Puglia si producono 1.245.400 quintali di carciofi – ricorda Coldiretti Puglia – di cui 475mila solo nella provincia di Brindisi, una delle aree vocate soprattutto per i carciofi di pregio, tanto da essersi assicurata il riconoscimento comunitario della IGP (indicazione Geografica Protetta) al carciofo brindisino.

Con l’inflazione alimentare che rallenta i consumi e le famiglie costrette a tagliare gli acquisti e i costi della logistica che arrivano ad incidere attorno ad 1/3 sul totale dei prezzi al consumo per frutta e verdura, hanno ingenerato rincari dei prezzi, spesso ingiustificabili, con una differenza enorme – aggiunge Coldiretti Puglia – tra il costo dei prodotti in campagna e quelli al dettaglio. Nei vari passaggi dal campo alla tavola si annidano speculazioni che vanno stanate anche dai Vigili dell’Annona, per cui serve una vigilanza serrata sull’origine dei prodotti ortofrutticoli sui banchi che arrivano dai Paesi Nord Africani, come Egitto, Tunisia e Marocco. Considerata la stortura nella organizzazione del sistema distributivo, si sta diffondendo sempre più la vendita diretta dei prodotti agricoli in azienda, opportunità sia per il produttore che per il consumatore nell’ottica della sicurezza alimentare e di un rapporto trasparente azienda-cittadino.

Sugli accordi commerciali occorre garantire il principio di reciprocità e in tale ottica è positivo l’annuncio della Commissione Ue sul fatto che “non sono soddisfatte le condizioni” per raggiungere un accordo commerciale con i Paesi del Mercosur, il mercato comune dell’America meridionale di cui fanno parte Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. Una scelta che segue la denuncia della Coldiretti in Italia sulla concorrenza sleale provocata dalle gravi inadempienze di molti Paesi sudamericani sul piano della sostenibilità delle produzioni agroalimentari con rischi per l’ambiente, la sicurezza alimentare e lo sfruttamento del lavoro minorile evidenziato dallo stesso dipartimento del lavoro statunitense. Vanno fermate le importazioni sleali ed introdurre con decisione il principio di reciprocità per fare in modo che tutti i prodotti che entrano nell’Unione rispettino gli stessi standard dal punto di vista ambientale, sanitario e del rispetto delle norme sul lavoro previsti nel mercato interno.

Occorre al contempo lavorare – precisa la Coldiretti – per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali e alle speculazioni. In questo contesto è importante l’opportunità del Pnrr con richieste di investimenti per i contratti di filiera superiori alla dotazione – conclude la Coldiretti – e l’incremento dei fondi va nella direzione auspicata di aumentare la produzione in settori cardine, dalla pasta alla carne, dal latte all’olio, dalla frutta alla verdura e “raffreddare” il carovita che pesa sulle tasche degli italiani e sui costi delle imprese.

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