Scoperta archeologica a Margherita di Savoia: gli scavi sono necessari per superare la leggenda della “città sommersa” e ricostruire l’origine degli scali marittimi realmente esistiti in zona Quarto-Orno

Nel corso di una recente operazione di bonifica lungo il litorale di Quarto-Orno, a Margherita di Savoia (nord Barese), il personale della Guardia Costiera ha portato alla luce un prezioso tesoro archeologico:

Ben tredici reperti, risalenti a diverse epoche storiche, sono stati rinvenuti, testimoniando l’antica frequentazione umana di quest’area. Tra i ritrovamenti, spiccano quattro frammenti di vasi in ceramica acroma, databili approssimativamente ad un periodo comprendente l’età classica e quella medievale, un tappo discoidale di anfora di epoca romana, un frammento di ceramica invetriata bruna medievale, cinque preziosi reperti in ceramica policroma smaltata dell’età moderna, una pipa in ceramica comune e un candeliere in ceramica acroma, entrambi risalenti ad epoche più recenti. La Guardia Costiera ha sottolineato l’importanza di questo ritrovamento, evidenziando come i reperti più antichi possano essere fatti risalire addirittura all’epoca tardo imperiale. I manufatti sono stati prontamente consegnati alla Sovrintendenza dei Beni Archeologici di Foggia per essere sottoposti a studi approfonditi e per essere valorizzati come testimonianze del ricco passato storico-culturale della regione. La località, lo ricordiamo, è la stessa dove già tempo fa furono individuati resti archeologici simili. Tuttavia, occorre fare distinzione tra i fatti realmente documentati (tra cui, i recuperi della Guardia Costiera) e le leggende che interessano da tempo questo territorio. Una di esse riguarda una “città sommersa“, leggenda in realtà basata su scali marittimi un tempo funzionali:

Al momento, onde evitare la diffusione di notizie fuorvianti, ciò che è certo siamo nel territorio di una città – Margherita di Savoia, in provincia di Barletta-Andria-Trani – cui saline, le più grandi d’Europa, erano già note almeno dai tempi dell’Impero Romano. Al momento una ricostruzione dettagliata dell’area di interesse archeologico è ancora in attesa di scavi e studi approfonditi, che, si spera, possano essere sostenuti presto dalle istituzioni al fine da eliminare dubbi sull’età, l’estensioni e le esatte origini dell’area archeologica. Dalle informazioni frammentarie giunte ai giorni nostri, sappiamo che con il diffondersi del cristianesimo, la località assunse la denominazione di Sancta Maria de Salinis e così viene citata in un diploma di donazione di Goffredo il Normanno, conte di Canne, nel 1105. Il casale di Sancta Maria de Salinis, ancora di incerta ubicazione, (sorgeva forse poco più a nord dell’odierno abitato nei pressi della frazione Orno e oggi sarebbe sommerso) faceva parte del territorio e della diocesi di Canne insieme anche al casale di San Cassiano (l’odierna San Ferdinando) e San Nicolao de Petra, l’odierna frazione di Torre Pietra, che forse diede i natali, secondo la Vita pubblicata dall’Ughelli, a Ruggero, vescovo di Barletta. Dalle fonti si apprende che il casale disponeva di una chiesa, cui era anche annessa una masseria e sotto Federico II fu dotato di una torre di avvistamento (nonostante taluni ritengano che proprio l’influenza dell’imperatore svevo sia stata accompagnata da un periodo di trascuramento della zona):

Sempre dall’atto di donazione apprendiamo che il territorio di tale casale aveva come confini a nord la contrada di San Nicolao di Petra e a sud l’Ofanto. Le saline all’epoca venivano chiamate Salinae Cannarum, in quanto il vescovo di Canne ne aveva il possesso e ne riscuoteva il censo. Il casale fu poi ancora una volta ceduto ai templari di Barletta dal vescovo Joannes, che successe a San Ruggiero nell’episcopato di Canne. Con l’estinzione della diocesi di Canne la chiesa di Santa Maria de Salinis fu aggregata a quella di Trani, cui ancora adesso appartiene, come risulta dalla bolla di papa Celestino III, datata 1192. Il dominio dei templari sulla salina terminò con l’emanazione delle Costituzione Melfitane da parte di Federico II, il quale istituì il monopolio del sale. Sotto la casata degli Svevi la località conobbe un periodo di grande fioritura. La città conobbe gli effetti devastanti del terremoto-maremoto del 1223 che colpì anche la vicina Siponto, ma venne prontamente ricostruita da Carlo II d’Angiò nel 1275. Il casale, tuttavia, andò in rovina a causa del progressivo impaludamento del Lago Salpi, che dovette provocare epidemie di malaria, ma un ruolo non indifferente fu giocato anche dal fenomeno erosivo della costa, tuttora in atto. Come se non bastasse, tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV, il casale di Sancta Maria de’ Salinis venne falcidiato da una grave epidemia di malaria e i pochi superstiti si rifugiarono a Barletta: a quanto pare, gli abitanti dell’antica zona paludosa non si integrarono mai però con i barlettani, costretti a vivere al di fuori delle mura della città. Questo fenomeno avrebbe però permesso di preservare l’identità genetica culturale e storica dei salinari. Passarono circa due secoli prima che l’autorità si decidesse a bonificare la zona. A tal proposito, si ricordano le seguenti pubblicazioni:

“Salapia e Salinis” (Lopez, 1971), “L’ambiente salinaro-margheritano dal dialetto alla storia” (Lopez, 1973-75), “Margherita di Savoia e i suoi antichi insediamenti sommersi” (Lopez, 1981), “Torre delle Saline e le torri di Petra, Rivoli, Ofanto nel contesto della difesa costiera del Regno di Napoli” (Lopez, 1986), “La Chiesa Madre del SS. Salvatore di Margherita di Savoia, le chiese e Cappelle Salinarum” (Lopez, 1987), “Vecchie ringhiere Liberty del centro storico di Margherita di Savoia” (Lopez, 1989), “Salinae Cannarum-Sancta Maria de Salinis” (Lopez, 1996). “Geomorfologia e Cultura del Promontorio del Gargano e delle aree circostanti” (Lopez, 2000). “Il culto mariano nell’area nord-ofantina” (Lopez, 2002).

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