Rifiuti della differenziata bruciati a Foggia: Bari, BAT e resto della Puglia vigilino per garantire contrasto al rischio criminale

Roberto Pennisi, magistrato della Dda specializzato in crimini ambientali

Lo scandaloso episodio registrato in Provincia di Foggia dovrebbe mettere in guarda l’intera Regione Puglia in merito al rischio di infiltrazioni criminali all’interno del circuito del riciclo rifiuti. Come avevamo già ricordato in un precedente articolo, infatti,  le forze dell’ordine, in cinque mesi di indagini, da ottobre del 2016 a febbraio di quest’anno, avrebbero constatato almeno 100mila tonnellate di rifiuti speciali abbandonati e poi dati alle fiamme nelle campagne dell’alto Tavoliere. La cosa più scandalosa è che, in quel caso registrato nel foggiano, a bruciare i rifiuti non sono stati i “soliti” cittadini incivili e irresponsabili, ma chi quei rifiuti per lavoro avrebbe dovuto accuratamente consegnare presso i centri predisposti al loro riciclo e/o trasporto in discarica.

Lo scandaloso episodio foggiano è stato frutto di un lavoro illecito coordinato da un imprenditore di San Severo, titolare di un’azienda di trasporto rifiuti, che – secondo le risultanze dell’operazione ‘Black Fire’ – avrebbe preferito smaltire in modo illecito (ovvero tramite combustione) tonnellate di spazzatura, causando potenziali danni ambientali.

In Campania: un altro imprenditore edile, cugino del boss dei Casalesi, è stato denunciato dai carabinieri alla Procura di Napoli Nord per sversamento illecito di rifiuti, in quanto sorpreso in un fondo privato mentre a bordo di un escavatore tentava di ricoprire con della terra una buca nella quale erano stati gettati dei rifiuti. Ad una prima analisi del materiale sversato – pari a 1.200 metri cubi – sembra si trattasse di rifiuti umidi; è così subito partita l’attività di caratterizzazione al fine di accertare la tipologia di rifiuto. Il terreno dove è stata realizzata la fossa, è emerso, è di proprietà di un privato sul cui coinvolgimento sono in corso le ulteriori indagini dei carabinieri della Compagnia di Casal di Principe.

L’Italia di quest’estate è, tutta, una desolata terra dei fuochi, estesa ormai molto oltre il vesuviano. I cittadini pagano il conto di questi roghi per una dinamica assai semplice spiegata su La Stampa da Roberto Pennisi, magistrato della Dda, specializzato in crimini ambientali: «Le imprese che trattano rifiuti hanno interesse ad acquisirne il più possibile, perché più acquisiscono, più aumentano gli introiti». Ma siccome trattarli – cioè avviarli al ciclo dei rifiuti – costa, «per evitare di toccare questi rifiuti tante volte arriva il benedetto fuoco. Quello che brucia va in fumo e il fumo non si tocca più». Anche le tante autocombustioni, ritiene la Dda, possono essere «un segnale di una gestione illegale». A volte il fuoco scatta perché interessi criminali vogliono accaparrarsi fondi per le bonifiche ambientali (e dunque si può guadagnare due volte: facendosi pagare un trattamento di rifiuti che poi non si fa, perché i rifiuti miracolosamente vanno in fumo. E perché poi bisogna bonificare l’area, con fondi di varia natura, pubblica o europea).

Per esempio a giugno molti incendi sono avvenuti contemporaneamente nel vesuviano, da Villa di Briano a Calvi Risorta, a Taverna del Re, «fanno ipotizzare una unica mano», dicono gli investigatori, e la mano in questo caso sarebbe quella dei casalesi. E perché? Perché la Regione Campania ha stanziato dieci milioni per le bonifiche: soldi attraentissimi per il business criminale.

Un fatto è certo: «Guarda caso – osserva la deputata Claudia Mannino, che ha censito questi roghi di rifiuti – non bruciano mai cartiere o industrie del vetro, bruciano sempre discariche con plastiche, rifiuti industriali, amianto, batterie, tutti rifiuti molto costosi da trattare». Mannino proporrà di introdurre nella legge di stabilità un emendamento che impone (alle aziende, o alle prefetture) la videosorveglianza di tutti i siti di stoccaggio di rifiuti. Stranamente, finora, la politica non ha varato un semplice provvedimento del genere. Il ministero dell’ambiente ha promesso che valuterà la proposta con attenzione. Vedremo.

La deputata Claudia Mannino

E in Puglia? Senza dover diffondere inutili allarmismi, è bene quindi analizzare singolarmente ogni singolo caso da Foggia sino al Salento, passando per tutto ciò che c’è in mezzo, assicurando che anche enti ed amministratori dell’area metropolitana di Bari, delle Province di Barletta-Andria-Trani, Brindisi, Taranto e Lecce, possano nel tempo garantire tutti i dovuti controlli al fine di evitare che scandalosi episodi come quello registrato nel territorio dauno possano ripetersi anche in altri territori pugliesi.

Un fotogramma diffuso dai Carabinieri riguardante le indagini sui roghi avvistati a Foggia

Molti comuni pugliesi stanno proseguendo il giusto lavoro della raccolta differenziata, che a volte risulta piuttosto impegnativo a causa di situazioni legate alla cultura e alla formazione ed informazione di una buona parte dei cittadini. Tuttavia, buone percentuali di raccolta differenziata risultano una realtà in Terra di Bari (Bari e BAT) e questo dovrebbe invogliare tutti a proseguire il lavoro già cominciato dai singoli comuni alcuni anni fa.

Lo scandalo rifiuti interrati e/o bruciati in Italia troppo spesso avviene durante i lunghi trasporti. Una soluzione potrebbe anche essere legata alla creazione di piccole aziende municipalizzate per ogni comune in grado di offrire un servizio di riciclaggio specializzato per ogni tipo di materiale riciclabile (plastica, carta, umido, ricondizionamento elettrodomestici ecc..) in modo da abbassare i costi di trasporto e conferimento offrendo ai singoli territori una possibilità aggiuntiva a livello occupazionale e al contempo garantendo una migliore qualità del controllo del raggiungimento dei rifiuti alla destinazione legale.

Tuttavia, per assicurare che scandali come quello registrato nel foggiano non avvengano anche in altri territori, i singoli comuni, unitamente agli organi di polizia e volontari di associazioni dedite alla salvaguardia ambientale, sono tenuti monitorare costantemente il territorio. Gli strumenti, dalla creazione di ronde specializzate all’organizzazione del monitoraggio del territorio, ci sono. Gli impianti di videosorveglianza, anche e non ancora voluti per Legge, si potrebbero amplificare. Unitamente ad azioni mirate e magari collaborazioni di cittadini con eventuali segnalazioni inviate alle forze dell’ordine, potrebbero aiutare la regione ad evitare che la Puglia possa trasformarsi nella nuova Terra dei Fuochi. Ambiente e legalità devono andare a braccetto e i singoli cittadini sono chiamati a collaborare. Il servizio del Tgr Puglia: